FLORA
Piante aromatiche
Le piante aromatiche e medicinali sono specie rustiche, resistenti anche a climi rigidi. Oltre alle indiscusse qualità terapeutiche o culinarie si dimostrano spesso altamente decorative con fioriture piacevolmente colorate.
La raccolta delle piante destinate alla conservazione va effettuata sempre in corrispondenza del tempo balsamico, cioè quando la presenza nella pianta di olio essenziale e principi aromatici raggiunge il suo culmine.
Per curare i propri malanni, i faetani usavano, soprattutto per motivi di economia, raccogliere le erbe che la natura offriva loro gratuitamente.
A Faeto, quando in casa qualcuno si ammalava, i familiari andavano a raccogliere le erbe adatte o se le procuravano dal vicino e preparavano le medicine del caso: solo se il malato non guariva, veniva chiamato il medico.
Tutto verteva essenzialmente sull’uso delle piante officinali, che crescevano spontaneamente nelle campagne e delle quali si utilizzavano, a seconda dei casi, foglie, fiori o radici.
Con le erbe si ottenevano non solo infusi e decotti, sorbiti od aspirati mediante inalazioni oppure adoperati per impacchi, ma anche impiastri medicamentosi da applicare sulle parti ammalate del corpo.
Per preparare gli infusi si versava acqua bollente sulle erbe finemente sminuzzate, mentre, per ottenere i decotti, si spezzettava l’erba, la si metteva a bagno in acqua per alcune ore, poi si bolliva il tutto per il tempo stabilito, infine si colava schiacciando i residui.
Alcune volte, i principi attivi solubili delle erbe venivano estratti col procedimento della macerazione, in base alla quale la pianta era tenuta a bagno in un liquido anche per diversi giorni.
La raccolta, l’essiccazione e la conservazione delle erbe richiedevano particolare competenza, a rischio dell’efficacia delle stesse; anche per il dosaggio e la preparazione occorrevano capacità non comuni a tutti, senza le quali si rischiava di incorrere in errori che potevano renderne inefficaci le proprietà terapeutiche o addirittura scatenarne i poteri tossici.
Ortica (Urtica dioica)
L’ortica nasce spontanea nei terreni faetani perché sono molto ricchi di azoto. Tutta la pianta è ricoperta da una fitta peluria urticante; anche le foglie sono ricoperte da numerosi peli urticanti ed hanno un picciolo con i margini dentati. La radice è provvista di numerose radichette, i fiori sono piccoli e poco appariscenti, di colore verdastro, riuniti in lunghe spighette che compaiono da giugno ad ottobre.
L’ortica è una pianta facilmente riconoscibile ed è la pianta che ha il maggior numero di proprietà medicinali perché in essa sono contenuti una grande quantità di principi attivi. L’ortica ha un’azione disintossicante, depurativa, digestiva e diuretica ed è indicata nei casi di affezioni reumatiche, artrite, calcoli renali, renella.
L’ortica è anche un antidoto contro l’anemia, un ideale vasocostrittore e un antiemostatico.
Se usata durante l’allattamento essa aumenta la secrezione del latte materno; è ottima per la vescica, come ricostituente e tonificante nella fase della crescita perché le foglie sono ricchissime di vitamine A, C, K e di sali minerali, specialmente di fosforo, magnesio, calcio, silicio manganese e potassio.
Le nostre nonne usavano inoltre l’acqua bollita dell’ortica per rendere più bella la pelle e per rendere più lucidi i capelli dopo lo shampoo; infine la usavano mista a crusca per aumentare la produzione di uova delle galline, per ingrassare i maiali e i tacchini.
Alloro o Lauro (Laurus nobilis)
L’alloro è una specie aromatica che cresce nelle macchie e nei boschi di Faeto: essendo rustica e senza esigenze particolari resiste ai freddi venti invernali tipici dei luoghi di montagna.
L’alloro è una pianta cespugliosa sempreverde con corteccia color cenere che può diventare un piccolo alberello (10 m).
Le foglie dell’alloro sono di colore verde intenso e lucido nella pagina superiore, mentre quella inferiore è più opaca e le foglie hanno il margine ondulato: le migliori sono quelle giovani, primaverili, anche se si trovano in tutto l’arco dell’anno. Per esaltare il loro aroma le foglie vengono essiccate in luoghi privi di luce e si conservano in barattoli chiusi e asciutti.
È molto apprezzato per la sua fragranza aromatica nella cucina faetana: si usa aggiungere una o due foglioline di alloro quando si mettono a cuocere i fagioli o a lessare le castagne (nella pignatta), nel ragù o nel brodo e, unendo le foglie di alloro al finocchietto selvatico, per preparare le olive bianche; con le foglie di allora un tempo si preparava un decotto.
Le foglie da usare in cucina si raccolgono fresche al momento del bisogno, quelle da essiccare a scopo medicinale si raccolgono ad aprile. Con le bacche nerastre dell’alloro si possono preparare liquori casalinghi.
Rosmarino (Rosmarinus officinalis)
Il rosmarino è una delle più note piante aromatiche, largamente utilizzata in cucina per dare aroma agli arrosti e come pianta medicinale.
È un arbusto sempreverde che può raggiungere i due metri di altezza e diventare molto ramificato.
Le foglie sono piccole, strette, lanceolate, di color verde scuro.
La pianta produce piccoli fiori di colore azzurro-violetto chiaro che sbocciano in vari periodi dell’anno in relazione al clima: il rosmarino, infatti, è una pianta che necessita di calore e luminosità per produrre in abbondanza l’olio essenziale che costituisce il principio aromatico.
Tutta la pianta emana un gradevole odore vagamente canforato.
Sui balconi delle case di Faeto non manca una pianta di rosmarino, in grado di offrire tutto l’anno foglie fresche come insaporenti in cucina.
Pur perdendo parte delle sue proprietà aromatiche, può venire essiccato lasciando appesi i rami raccolti in fasci in locali ombrosi, ventilati e asciutti.
Salvia (Salvia officinalis)
Particolarmente rustica, la salvia sopporta le gelate invernali delle nostre zone.
È una pianta suffruticosa perenne che per le sue proprietà aromatiche non manca mai negli orti faetani e non è raro vederla davanti le case insieme ad altre piante aromatiche per l’uso di foglie fresche in cucina.
Il profumo e il sapore, che sono massimi nelle foglie tenere e fresche, non si conservano però più a lungo in quelle essiccate.
Si tratta di un arbusto ramificato dalla base, alto fino a un metro, con foglie ovali, rugose, verde-grigio, più chiare sulla pagina inferiore, ricoperte da una fitta peluria.
Tutta la pianta al contatto emana un gradevole e persistente aroma, ma vengono colti solo fiori e foglie, le quali venivano già usate dai nostri avi come dentifricio naturale per sbiancare i denti e rinfrescare le gengive.
La salvia, per la sua marcata aromaticità, viene usata per insaporire sughi e arrosti ed ha anche proprietà medicinali, per cui con essa le nostre nonne preparavano un decotto salutare addolcito con miele.
Origano (Origanum vulgare)
L’origano è una pianta erbacea, perenne, che a Faeto viene raccolta a fioritura appena avvenuta (giugno-agosto), un po’ ovunque nelle zone più assolate e con terreni non troppo umidi: Monte Cornacchia, San Vito, Buccolo, Bannera. Si recidono gli steli, si legano in fasci lenti e si lasciano appesi a testa in giù in locali ombrosi, ma ventilati e asciutti.
L’origano ha un fusto parzialmente lignificato di colore rosso-bruno, alto fino a 80 cm; le foglie sono ovali e appuntite all’apice, di color verde grigiastro. I fiori, piccoli, che sbocciano da maggio ad agosto, sono rossastri e bianchi, riuniti in spighe che formano pannocchie apicali.
Da tutta la pianta emana un piacevole aroma; le sommità fiorite fresche, o molto più spesso essiccate o triturate, vengono usate in cucina come insaporente di numerose vivande, come pizza, insalata di pomodori, pizzaiola, pane raffermo bagnato con pomodoro, patate gratinate, patate e baccalà (piatto tipico natalizio), melanzane sott’olio.
Timo (Thimo vulgaris)
Il timo presente a Faeto è il ben noto timo comune, pianta rustica sempreverde che si sviluppa tipicamente in ambienti poveri, aridi e sassosi; alta 10-15 cm, le sue foglie sono verde scuro, lunghe e strette con una peluria biancastra sulla pagina inferiore. Queste vengono usate fresche o secche in cucina per insaporire carni e vivande varie.
Per usarle fresche i faetani possono prelevarle in qualsiasi momento visto che il timo, messo in vaso, si riproduce facilmente essendo una pianta infestante: lo si rinviene addirittura nelle fessure delle pietre delle strade e dei muri del paese. Le foglie si possono essiccare per usarle in inverno. Sfregandole tra le mani emanano il loro caratteristico profumo, un misto tra origano e rosmarino.
Oltre che per uso culinario, il timo viene anche adoperato come pianta ornamentale: i fiori, piccoli, di color malva, compaiono dalla primavera all’estate quando, col sole via via più caldo, la natura pian piano si risveglia completamente.
Basilico (Ocymum basilicum)
Come erba alimentare il basilico è comunemente usato per il suo sapore e profumo caratteristici soprattutto per preparare la conserva di pomodoro, generalmente ad agosto, quando i pomodori sono belli maturi: in quei giorni tra i vicoli e le strade del paese si diffonde nell’aria un intenso profumo di salsa fresca. Il giorno prima le massaie si procurano un fascio di basilico fresco e ne useranno duo o tre foglie o i germogli apicali per bottiglia.
Siccome il basilico è molto sensibile al gelo, essendoci a Faeto un clima rigido è preferibile coltivarlo in vasi che verranno ritirati in inverno non appena la temperatura si abbassa.
Viene seminato in primavera negli orti che si riempiono di questa pianta estremamente aromatica e dove essa cresce molto rapidamente.
Per mantenere la pianta in vigore, e soprattutto per non intaccare la qualità aromatica, si asportano i germogli apicali e le infiorescenze della pianta al loro comparire.
Finocchio selvatico (Foeniculum vulgare)
Il finocchietto è un’erbacea perenne aromatica, con grossa radice e fusto eretto che è presente allo stato selvatico nelle zone del paese esposte al sole e asciutte come per esempio l’antica via per Celle, dove cresce senza alcuna cura particolare. Si propaga per seme che può essere raccolto direttamente dalla pianta; il finocchietto si “autosemina” facilmente assumendo la caratteristica di infestante.
Tutta la pianta presenta un aroma intenso e per questo, oltre ai semi che servono a dare sapore a salsiccia e taralli, nel corso di tutta la stagione vegetativa vengono utilizzate a Faeto anche le foglie, i rami più giovani e i teneri germogli per aromatizzare peperoni sott’aceto, per preparare insalate o primi piatti. Le puerpere con il finocchio usano fare il decotto o il brodo per aumentare la secrezione lattea.
Camomilla (Matricaria chamomilla)
Allo stato selvatico la camomilla si trova con molta facilità un po’ ovunque, sui muri, lungo le strade, in particolare in campi incolti e lungo i sentieri di campagna.
Le infiorescenze della camomilla, capolini riuniti in corimbi, compaiono da maggio a settembre e sono molto numerose e profumate, con cuore giallo circondato da ligule bianche.
Tutta la pianta è molto profumata: a Faeto si recide la pianta alla base, quando i fiori sono in piena fioritura e presentano la più alta concentrazione di principi attivi, per conservarla a mazzetti lasciandola essiccare in luogo ombroso, asciutto e ventilato per evitare la formazione di muffe.
Le tisane preparate con questi mazzetti servono alle nutrici per aumentare la quantità di latte secreto dalle ghiandole mammarie e sono altamente rilassanti perché conciliano il sonno. La camomilla inoltre può essere usata durante lo shampoo per schiarire i capelli e come impacco addolcente e lenitivo sugli occhi.
Cerfoglio (Anthriscus cerefolium)
Il cerfoglio è un’erbacea aromatica biennale con fusto robusto e alquanto ramificato che si trova facilmente allo stato selvatico nei nostri terreni freschi e ombrosi.
Ricco di principi attivi il cerfoglio da noi, anche se è molto diffuso, è poco usato.
Le foglie, che ricordano quelle del prezzemolo seppur più minute, sono sottili, di colore verde e dotate di un lungo picciolo. Fiorisce da maggio ad agosto con piccoli fiori bianchi raggruppati in ombrelle.
Menta (Mentha piperita mentha acquatica)
La menta è una pianta erbacea perenne che predilige sia le posizioni in pieno sole che la mezza ombra, ma può resistere anche alle basse temperature delle nostre montagne.
Tutte le specie di menta, coltivate e selvatiche (il mentastro che nasce nei terreni umidi e la mentuccia, più piccola, che nasce in mezzo alle pietre), emanano in modo più o meno accentuato un profumo caratteristico, penetrante, dovuto alla presenza nelle foglie e nei fusti di un olio essenziale contenente mentolo, la cui concentrazione è comunque massima nella pianta poco prima della comparsa dei fiori che sono molto piccoli, di colore bianco, rosa o viola.
La menta è forse la specie dal profumo più intenso e gradevole: è quindi la più coltivata anche in vaso per utilizzarle in cucina e a scopo medicinale.
Le foglie sono lanceolate, più o meno strette e lunghe, quasi prive di peli, color verde piuttosto scuro.
La raccolta della menta viene fatta quando la pianta è completamente fiorita.
Nel nostro paese la menta trova uso in cucina come insaporente di molti piatti (per insaporire per esempio piede, orecchie, coda di maiale sbollentati, per aromatizzare melanzane sott’olio).
La menta è anche una pianta medicinale per cui si usa fare l’infuso perché ha proprietà digestive ed espettoranti: un ottimo decotto che veniva preparato nei tempi passati nella pignatta è quello della menta, mentastro o mentuccia unita alla malva, alla liquirizia e a una foglia di alloro.
Sia l’erba che l’olio possono essere adoperati per uso esterno per curare ferite ed esantemi cutanei.
Anticamente con la menta si preparavano anche profumi.
Borragine (Borrago officinalis)
La pianta è rustica e non ha esigenze particolari se non quelle di un terreno fertile, umido e di una posizione abbastanza esposta al sole.
Con il suo fusto carnoso, ramificato e ricoperto di peli biancastri, la borragine si trova allo stato selvatico lungo i margini delle strade (via Santa Filomena), scarpate e campi incolti; se si lasciano andare a seme i fiori senza toglierli, la pianta si riproduce autonomamente.
Della borragine viene utilizzata tutta la pianta prima della fioritura (i bei fiori azzurri sono a forma di stella, disposti a grappolo e compaiono da maggio a settembre) o le sole foglioline più giovani dopo la fioritura (le foglie sono ovali, pelose e picciolate).
L’utilizzo familiare della borragine era più diffuso in passato di quanto lo sia adesso: la borragine nettata ben bene si unisce a pasta fatta in casa, a sperania e cicorie per un delizioso pancotto oppure per una semplice insalata.
Tarassaco(Taraxacum officinalis)
Il tarassaco è un’erba perenne di colore verde, di bassa statura e con radice carnosa e ramificata. Le foglie sono disposte a rosetta, oblungo-ovate con nervatura mediana; se tagliate emettono una linfa biancastra.
La vegetazione veloce del tarassaco è presente un po’ ovunque, spesso come infestante. Si trova in campi, pascoli, boschi, bordi delle strade.
Una volta si rinveniva più facilmente perché cresceva soprattutto nei campi coltivati a lupinella.
Un piatto tipico della cucina faetana è tarassaco e fagioli (messi a bagno la notte precedente e cotti insieme a cotenna di maiale nella pignatta vicino al fuoco), una vera prelibatezza; con il tarassaco si prepara anche il pancotto, ma si può gustare anche semplicemente ad insalata, senza trascurare le sue proprietà medicinali: con il suo sapore amaro il tarassaco è diuretico, depurativo e tonico.
Il tarassaco da noi si usa semplicemente consumato fresco come disintossicante e purificatore dell’organismo oppure come decotto.
Cicoria selvatica (Cichorium inthybus)
La cicoria selvatica è facile da riconoscere in fase di fioritura per le caratteristiche corolle azzurre riunite in capolini.
Ad inizio primavera si cerca la rosetta basale ricca di robuste foglie ruvide, leggermente pelose, dentate, che terminano in forma di punta di freccia, con una nervatura centrale.
I semi possono essere impiegati per propagare la pianta anche negli orti o nei pressi delle case.
Diffusa quasi ovunque nel nostro paese la cicoria preferisce i bordi delle strade, gli incolti, i maggesi, i pascoli, ruderi e scarpate.
Si raccoglie quando le foglie sono ancora tenere per apprezzare in massimo modo le sue qualità, cercando di non estirpare la pianta alla radice.
Si usa per preparare soprattutto lo spezzatino pasquale.
La cicoria ha un’azione salutare sul nostro organismo e i maggiori effetti dei suoi principi attivi si hanno se si beve la sua acqua di cottura a mo’ di infuso.
Lassana (Lapsana communis)
Questa pianticella spontanea sfoggia fiori gialli come il sole e modesti come la poca terra in cui sistemano le radici.
La lassana fiorisce in maggio-ottobre e cresce negli orti, zone ruderali, nelle macchie e nei boschi.
Essendo infestante, nei campi coltivati a grano ancora oggi viene estirpata.
È un’erbetta commestibile, soprattutto lo sono le giovani foglie ruvide e grandi, dal sapore amarognolo, e si possono consumare crude ad insalata o cotte, miste ad altre verdure o alla pasta.
Ha proprietà depurative, rinfrescanti ed antidiabetiche.
Spraina (Lactuca virosa)
È simile alla lattuga comune, per il suo ambiente vitale selvatico è spesso chiamata Lattuga Selvatica.
La spraina è diffusa ai bordi di fossi e sentieri di montagna, è presente anche nelle nostre radure boschive.
La spraina viene consumata ad insalata, con la pasta, a pancotto, a spezzatino insieme a cicoria selvatica, tarassaco, borragine.
Nei tempi passati veniva anche data ai maiali.
Malva (Malva silvestris)
Pianta di campagna comune, cresce in prati incolti, sentieri anche calpestati, su ruderi e detriti e in paese è spesso spontanea anche all’interno di orti e giardini prediligendo terreni freschi, ricchi di elementi nutritivi, in zone ben esposte alla luce del sole.
La malva si moltiplica per seme e germina velocemente specie se riceve acqua piovana.
La pianta della malva si presenta con un fusto legnoso alla base e ramificato; è verde quando è piccola e rimane piuttosto bassa allargandosi con foglie con margine dentato e lunghi piccioli, più o meno coperte da peli.
La malva è una bella pianta abbellita da delicati fiori che spuntano da aprile ad ottobre all’ascella delle foglie, accoppiati e in genere di colore rosa-violaceo con striature longitudinali più scure.
La malva ha proprietà medicinali e curative, soprattutto antinfiammatorie e lenitive, note e sfruttate nei tempi remoti.
Da giugno a settembre le nostre nonne coglievano la pianta e la facevano seccare: con essa preparavano soprattutto decotti unendola ad altre piante aromatiche come la camomilla, il puleggio. Gli impacchi di malva servivano per medicare le ferite: pestavano l’erba e la applicavano sulla parte lesa (anche degli animali).
La malva era inoltre un antidoto contro le costrizioni intestinali e serviva per addolcire il cuoio capelluto durante i lavaggi.
Puleggio (Hedeoma pulegioides)
Il puleggio è una pianta annuale o perenne, dai fusti corti e ramosi, coperti da una fine peluria; le foglie hanno dimensioni minute, sono pelose e di color verde sfumato, mentre i fiori, che compaiono da luglio a ottobre, presentano un pallido color azzurro.
Dal profumo simile al mentastro, cresce spontanea nei luoghi umidi ed ombreggiati, sotto le Palate e accanto ai ruscelli, in direzione Scavo, Vetruscelli e Iscatarre.
Quando è pronta si coglie, si pulisce ben bene e si fa seccare in mazzetti da conservare per l’inverno ad uso curativo e lenitivo soprattutto per la tosse.
Il decotto prevedeva anche l’abbinamento di altre piante come la malva, la camomilla e qualche bacca di rosa canina.
Rosa canina (Rosa canina)
La rosa canina è un arbusto spinoso, alto 100-300 cm, con fusti legnosi spesso arcuati e pendenti e radici profonde.
Le spine rosse sono robuste, le foglie sono composte da 5-7 foglioline e i fiori sono poco profumati; la corolla è formata da grandi petali che schiudendosi cadono con facilità, da qui il nome scacaccióse in francoprovenzale.
La rosa canina fiorisce da maggio a luglio; i suoi frutti sono carnosi e colorati di un bel rosso vivo.
La rosa canina a Faeto si trova un po’ ovunque, essendo un rovo come le more, per cui la troviamo verso il Bosco Comunale, lungo la via del Piscero, la via Santa Filimena, la vecchia via per Celle, via La Creta, via Le Cesi e i Perazzoni, Tre Sportelle, ecc…
I piccoli frutti (bacche) della rosa canina sono le sorgenti naturali più concentrate in vitamina C e per questo in grado di contribuire al rafforzamento delle difese naturali dell’organismo (100gr di bacche contengono la stessa quantità di vitamina C di 1kg degli agrumi).
Con le bacche messe a seccare al sole si prepara un ottimo decotto insieme a puleggio, malva e camomilla, rimedio casalingo per tosse e raffreddore, per la circolazione del sangue.
Infine la bacche hanno un’azione astringente, da qui il nome in francoprovenzale stòppacchíje.
Marrubbio – Marruggia (Marrubium vulgare l.)
È una pianta erbacea perenne che trova il suo ambiente nei terreni incolti e campi asciutti. Può arrivare fino ad un metro, con foglie ovali e ricoperte di una lieve peluria. Il fiore è viola. Il periodo di raccolta coincide con la primavera.
Viene utilizzata tutta la pianta: radici, foglie e fiori. Il metodo di conservazione è l’essiccamento.
Utilizzata per preparare decotti dal sapore amarissimo. Ottima per proteggere le vie respiratorie: il marrubbio stimola le difese, elimina gli allergeni e protegge le vie aeree dalle particelle di polvere.
Le sostanze amare supportano inoltre il fegato, ottimizzando quindi il processo digestivo e depurativo; favoriscono la secrezione tramite i reni stimolandone l’attività.
La tradizione popolare vuole che il decotto, prima di essere consumato, debba assorbire in qualche modo l’influenza positiva dei raggi lunari.
Crescione (Nasturtium officinale)
Il crescione è un’erbacea perenne con fusti prostrati o ascendenti, che emettono radici ai nodi.
Ha foglie con due o tre paia di segmenti laterali ovali e una apicale; i fiori bianchi sono riuniti in racemi.
I frutti contengono molti semi.
È una pianta che cresce in acque paludose a mazzetti, da noi molto comune in passato lungo i corsi d’acqua e presso i ruscelli di montagna (presso i canali di Niola e San Vito, le fontane Bagnaturo, Dei Coppi e Acqua La Rame, in Piano Maggese).
I germogli, fiori e rametti teneri, venivano raccolti in primavera-estate e consumati freschi.
Usato soprattutto per insalate, ha un sapore piccante e gradevole.
Il crescione ha proprietà purificanti e diuretiche.
Portulaca o Porcellana comune (Portulaca oleracea)
La porcellana comune è un’erba grassa, infestante selvatica.
La pianta ha fusti rossastri da cui si dipartono foglie carnose, senza picciolo, di colore che a seconda del tipo va dal verde al giallo fino al giallo oro.
Durante il periodo della fioritura, da maggio a settembre, fra le foglie della portulaca spuntano fiorellini di color giallo pastello o arancio.
Per la raccolta si tagliano le foglie con una piccola porzione di fusto.
Dai faetani è conosciuta e apprezzata come alimento che arricchisce le insalate.
La portulaca è una pianta ricca di vitamina C, proteine e sostanze minerali.
Si raccoglie negli orti e dove sono piante di pomodoro.
Cardogna maggiore (Scolymus grandiflorus)
Il carboncello selvatico è un’erba perenne dall’aspetto di cardo.
È una pianta robusta, molto spinosa sulle foglie, sui fusti e anche sulle foglie della rosetta, è fornita di una vigorosa radice.
All’inizio della primavera compare un cespo di foglie provviste di penetranti aculei, tenere da giovani, coriacee a maturità. Dal cespo si erge, in estate, un fusto alto più di un metro che porta capolini di grandi dimensioni con fiori di colore giallo-citrino.
Il cardoncello cresce negli incolti aridi e ai bordi delle strade campestri: zona Piano Dei Rovi, Santa Filomena, Tre Sportelle, Santo Legno.
Pur essendo una pianta poco invitante, per la presenza delle acuminate spine, il carboncello fornisce un’eccellente verdura assai apprezzata dai palati più fini.
La raccolta di questo erbaggio si effettua in primavera quando le foglie sono ancora tenere.
La pianta si sradica con una zappetta, si capovolge e, sorreggendola per la radice, si priva delle foglie più esterne e della metà di quelle mediane e si asportano le spine; la pianta, mondata delle foglie e delle spine viene quindi lavata accuratamente e lessata.
Per favorire la cottura si effettua un’incisione a forma di croce sul torso.
A Faeto si raccoglie il cardoncello con cui si può preparare lo spezzatino con uova, formaggio e carne d’agnello, tipico del Lunedì Dell’Angelo.
Equiseto (Equisetum arvense)
L’equiseto da noi appassisce d’inverno a causa del clima. In realtà durante i periodi più avversi la pianta deve continuare a vivere, per cui alcuni rami si trasformano in tuberi rotondi contenenti sostanze di riserva per lo svernamento.
È una pianta perenne erbacea che porta le gemme in posizione sotterranea.
Essendo i fusti troppo deboli sono costretti a sostenersi ad altre piante come rampicanti.
Le radici generalmente sono dei ciuffi che si diramano e durano un anno al massimo.
I fusti sono cavi, infatti all’interno è presente una sottile cavità longitudinale spesso vuota.
Nelle nostre zone si mangia quest’erba ad insalata perché molto ricca di principi attivi.
Gli alberi
Gli alberi, nel loro ambiente naturale, collegano terra e cielo: fermi in un punto della terra, attaccati e ancorati al terreno, dal quale traggono parte del loro sostentamento, tendono rami e foglie verso il cielo del quale pare si nutrono, sottoforma di aria, umidità e luce.
La luce, che è energia, viene utilizzata dagli alberi per trasformare le sostanze inorganiche in sostanze organiche. Così il mondo vegetale non solo trasforma il mondo minerale e si rende disponibile come cibo per gli animali, ma diventa il respiro di tutto il pianeta, quando assorbe l’anidride carbonica dell’aria restituendo ossigeno.
Ogni albero ci appare come un grande amico che per di più rallegra anche i nostri sensi, con i suoi colori, la bellezza e il profumo dei fiori, la bontà dei suoi frutti.
Fortunatamente grazie ai loro semi che “viaggiano” sempre si riproducono, con modalità diverse per ciascuna pianta. Per esempio i pioppi e i salici producono semi molto leggeri avviluppati da un batuffolo di lanugine simile al cotone; grazie al vento questi semi possono disperdersi.
I pini invece producono pigne con dei semi all’interno. Quando la pigna matura, asciugandosi diventa marrone, le scaglie della pigna si schiudono e i semi, protetti da un involucro simile a carta velina finissima, volano via con il primo soffio di vento.
I semi dei frutti carnosi e delle bacche viaggiano in altro modo: attraverso gli animali che li mangiano ed espellendoli concimano il terreno.
Il bosco di Faeto, che si trova nella fascia montana tra il castanetum e il fagetum, presenta una grande quantità di alberi secolari, faggio, cerro, quercia, carpino, olmo, frassino, gaggia, noce, ciliegio.
Tanti sono gli alberi da frutto e gli arbusti che crescono spontanei, come appunto il ciliegio, il pero, il melo, il fico, che possono essere anche coltivati.
I nostri avi sicuramente puntavano anche sulla coltivazione di questi alberi allo scopo di gestire un frutteto anche di piccole dimensioni che offrisse produzioni variate, scalari, per un periodo il più lungo possibile.
Faggio (Fagus sylvatica)
Il faggio presente nei nostri boschi è quello secolare che raggiunge le quote più elevate delle zone arboree e lo è in maniera così massiccia che da esso sarebbe derivato il nome stesso del paese, Faeto.
Il faggio è un albero maestoso di media e grande altezza, con chioma molto ampia, ramificata e fitto fogliame, riconoscibile perché molto arrotondata e larga.
Le foglie ovali e con nervature evidenti, in autunno si colorano di giallo-bruno o rosso. L’apparato radicale è molto espanso orizzontalmente e fuoriesce dal terreno.
La corteccia è color grigio cenere, liscia; nella specie secolare che abita nel bosco di Faeto diventa quasi lucida.
I frutti, chiamati faggiole, sono grossi acheni rossicci.
I nostri alberi di faggio, così ricchi di storia, sono stati sempre generosi con i loro figli faetani perché gli hanno offerto sempre legname pregiato per gli usi più svariati, in particolare per accendere i camini nelle case e per costruire i banchi della chiesa, i quali ancora oggi sono ad essi molto cari perché raccontano dell’amore dei loro avi verso il proprio paese.
Quercia (Quercus robur)
La quercia è un albero molto diffuso nel nostro bosco perché resiste ai climi freddi; è un albero longevo dal portamento maestoso e di grandi dimensioni, fino a 30 m di altezza.
La chioma è ampia, la corteccia è grigia, dapprima liscia, per fessurarsi poi longitudinalmente. Le foglie sono di forma diversa e la colorazione è verde lucida, con viraggio al rosso o giallo-arancio in autunno.
La quercia è ottima come legna da ardere in quanto anche dopo la combustione riesce a trattenere la brace per lungo tempo essendo pesante e compatta.
I frutti della quercia, le ghiande, erano molto graditi dai maiali, misti alla crusca, a cinghiali, ghiandaie, ratti e usignoli.
Le galle, escrescenza della quercia, erano un piacevole trastullo per i bambini.
Noce (Juglans regia)
Tipico delle zone montane il noce è diffuso da noi in quanto le sue esigenze climatiche sono simili a quelle del castagno; predilige infatti un clima fresco e ventilato, con abbondanti precipitazioni ben distribuite durante tutto l’arco dell’anno.
Il noce è una pianta molto vigorosa, con un portamento possente e, viste le condizioni ambientali ottimali, raggiunge agevolmente i 25-30 m di altezza, con una longevità che può anche superare il secolo.
Ha fusto liscio e foglie seghettate.
Con il suo legno, noto per resistenza e bellezza del colore e delle venature, i nostri antenati costruivano mobili.
Con il mallo delle noci si coloravano gli indumenti e i capelli ed ancora oggi si prepara un liquore casalingo con le noci raccolte per tradizione il 24 giugno, giorno di San Giovanni Battista.
Frassino (Fraxinus excelsior)
Di grandi dimensioni il frassino può raggiungere i 30 m di altezza. Ha chioma leggera, slanciata. Le foglie sono composte, costituite da 5-7 paia di foglioline appaiate e una terminale.
I fiori, di colore giallo-verde, sono riuniti in pannocchie, mentre i frutti sono penduli.
La corteccia prima verde diventa negli anni finemente rugosa e di una colorazione che vira verso il grigio.
Predilige la posizione soleggiata, tuttavia cresce bene anche in luoghi leggermente ombreggiati ed è resistente ai rigidi inverni montani.
Una zona di Faeto chiamata Frassinelle prende il nome da questo albero.
Olmo (Ulmus campestris)
Albero di grandi dimensioni, supera i 30 m di altezza, molto diffuso nel nostro territorio.
Chioma ovale o conica rovesciata, le cui foglie sono molto ruvide, di colore verde scuro, finemente seghettate sui margini.
Le infiorescenze sono lunghe fino a 1 cm e i frutti sono delle samare.
Le foglie e i frutti, mescolati con crusca, nei tempi passati venivano dati in pasto ai maiali e ai vitelli.
La corteccia è grigia, liscia negli esemplari giovani che diventa color bruno scuro con evidenti fenditure con l’avanzare degli anni.
L’olmo predilige posizioni esclusivamente soleggiate e sopporta anche le forti escursioni termiche nelle stagioni invernali ed estive.
Meno consistente della quercia, l’olmo viene anch’esso usato come legna da ardere: fa una buona fiamma e mantiene la brace.
Gli olmi, presenti un tempo in maniera massiccia nel nostro territorio, quasi del tutto estinti per un lungo periodo perché attaccati da funghi, hanno ripreso oggi a ripopolare gli antichi siti.
Sorbo (Sorbus)
Il sorbo è un albero di medie dimensioni, diffuso a Faeto spontaneamente, predilige posizioni soleggiate molto esposte ma è molto tollerante anche alle basse temperature.
Raggiunge anche i 9 m di altezza, mentre la chioma è leggera, poco espansa, tendente ad assumere la conformazione ad ombrello.
La corteccia, di colore grigio argenteo, si fessura con il passare degli anni.
Le foglie sono composte da 4 a 9 paia di foglioline oltre a una terminale, di forma ovale e con margine seghettato.
I fiori sono bianchi, raccolti in gruppetti, mentre i piccoli frutti sono dei pomi, dapprima di colore giallo poi rosso vivo (cibo preferito dagli uccelli e dalle volpi).
Le donne faetane raccoglievano le sorbe ancora acerbe con cui preparavano un decotto oppure con ago e filo ne facevano delle collane e le lasciavano maturare appese.
Ciliegio (Prunus avium)
Essendo i ciliegi, da cui deriva il frutto delle ciliegie, particolarmente diffusi in ambiente montano o collinare con suoli freschi e ben drenati, essi crescono spontanei e vengono coltivati nei terreni faetani (zona Iscatarre, Feudo, Le Cesi, via Piscero, La Foce, ecc…).
Le varietà coltivate sono numerose; sono frequenti le piante spontanee che coltivate superano i 15 m di altezza con un tronco possente e una grande chioma dall’aspetto aperto, di forma globosa o conica.
La corteccia è di colore rosso-violaceo; le foglie sono ovali, seghettate, di colore verde scuro; i fiori sono riuniti in ombrelle, profumati, mentre i frutti sono drupe rotonde e succulente.
La raccolta dei frutti, che maturano a luglio, è una delicata operazione manuale perché le ciliegie vanno spaccate delicatamente alla base del peduncolo, evitando di strapparlo e stando attenti a non rompere i corti rametti fruttiferi cui sono attaccati i frutti.
Acacia (Robinia pseudacacia)
L’acacia si presenta con portamento arboreo o arbustivo ed è una pianta che cresce rapidamente e spontaneamente.
Il fusto è dritto è può superare i 15-20 m di altezza con una gran massa di foglie che assicurano in paese ombra e una gradevole vista nei periodi in cui si formano grappoli pendenti di fiori bianchi o crema dal profumo molto gradevole.
La corteccia è di colore marrone chiaro, le foglioline sono imparipennate, aperte di giorno mentre la notte tendono a sovrapporsi. Queste foglie hanno un elevato numero di proteine; tenere venivano date come cibo ai conigli.
L’acacia porta spine lunghe e solide sui rami più giovani.
Il legno di acacia brucia molto bene, fa poco fumo anche quando è ancora umido ed ha un elevato potere calorifero.
Tale legno, fra i più duri, nei tempi passati era molto ricercato per creare, modellare e intagliare, caratteristici bastoni da passeggio.
Per la festa del Corpus Domini si raccoglievano i fiori d’acacia per riempire cestini, fiori che sarebbero serviti per la processione.
Cerro (Quercus cerris)
Diffuso nelle nostre zone, il cerro arriva ad una chioma alta anche 30-35 m; la corteccia del tronco è grigio-brunastra con profonde solcature rossicce.
Le foglie sono alterne con un picciolo abbastanza lungo.
Il cerro si distingue facilmente dalle altre querce per i suoi frutti, le ghiande, caratteristiche per il cappuccio che le copre parzialmente ricoperto di peluria.
Di questa peluria di colore giallino chiaro sono rivestite anche le gemme, ciò che ne consente il riconoscimento in ogni stagione.
La propagazione avviene tramite ghiande.
Il legno, meno pregiato di quello di altre querce perché duro ma poco resistente, è usato soprattutto come combustibile.
Pioppo (Populus alba)
Il pioppo è una pianta che ama la luce e il pieno sole, a rapido accrescimento raggiunge i 30 m di altezza con fusto eretto e una chioma leggera, non eccessivamente fitta; si moltiplica nella stagione autunnale.
Le foglie sono di varie forme e i frutti contengono moltissimi semi.
La corteccia è bianca oppure grigio chiara, che si intensifica in bruno e grigio scuro con il passare degli anni.
Gelso (Morus alba)
Il gelso, bianco o nero, è un albero da frutto presente nei terreni di Faeto.
I frutti sono carnosi color bianco-giallastro dal sapore dolciastro o nero-violaceo dal sapore più acre.
I gelsi neri hanno una dimensione generalmente più grande rispetto a quella dei gelsi bianchi ed essendo ricchi di succo tendono a macchiare durante la raccolta.
I gelsi hanno proprietà depurative, lassative, rinfrescanti e toniche.
Salice (Salix caprea)
Albero alto fino a 20-25 m, con chioma ampia, rami penduli e sottili.
Le foglie sono allungate e sottili, color giallo-verde o verde pallido.
Il salice esige un terreno fertile e una posizione soleggiata anche se tollera deboli ombreggiature.
Le lunghe fronde che toccano il suolo hanno un portamento leggero ed elegante.
Il salice è presente nelle zone umide, quindi Feudo, Piano Maggese, Niola, San Vito, fontane Acqua La Rame, Bagnaturo e Dei Coppi dove le donne nei tempi passati andavano a lavare i panni.
Biancospino (Crataegus sp.)
Il biancospino è un arbusto spinoso che non ama terreni molto secchi e presenta fioriture più abbondanti se esposto al sole.
A Faeto troviamo biancospini un po’ dappertutto, soprattutto in prossimità di rovi di more.
La fioritura avviene in aprile, maggio e giugno; i fiori sono bianchi e possono essere semplici o doppi; i frutti, molto decorativi, di color rosso cupo e dolciastri, sono mangiati soprattutto da merli, storni, tordi e volpi.
Anticamente con le spine bruciate del biancospino si otteneva il carbone.
Melo (Malus communis)
È un fruttifero che cresce e fruttifica bene nelle zone delle nostre montagne. Il melo predilige un clima fresco, con abbondanti precipitazioni autunno-invernali e dà le migliori produzioni nei terreni soleggiati e ben esposti.
Rustico e longevo il melo è una pianta particolarmente resistente ai nostri freddi invernali.
Il fusto può raggiungere notevoli dimensioni grazie al robusto apparato radicale che resta superficiale.
La ramificazione possente forma una fitta chioma.
La fioritura è abbondante e tardiva (aprile-maggio) e questo permette alle piante di resistere spesso alle temperature rigide e alle gelate primaverili.
I fiori, con cinque petali di un bel colore rosa, sono riuniti in mazzetti e sono abbondantemente frequentati da un gran numero di insetti che compiono una preziosa opera impollinatrice.
Il frutto dei nostri meli, globoso, può essere della varietà Annurca (giallo-rossa), allungato (Limoncella gialla) o depresso, con peduncolo sottile o molto corto, a seconda delle varietà. La buccia è di colore e consistenza variabile e la polpa ha un sapore dolce o acidulo.
Le mele venivano raccolte in autunno per essere conservate per l’inverno; venivano consumate anche cotte sotto la cenere.
Pero (Pirus communis)
Come il melo, anche il pero ama il nostro ambiente montano con un clima fresco. Qui crescono diverse varietà di pero tra cui: Spadone, Bergamotta, Moscatella d’Estate, con pere di piccole dimensioni a maturazione molto precoce e abbondante.
Gli alberi di pero selvatico hanno una buona radice e crescono naturalmente meglio del melo, dando origine a piante di grandi dimensioni particolarmente longeve.
Il legno è molto duro e compatto; i fiori a cinque petali di un bel colore bianco-crema sono inseriti a mazzetti alla base delle gemme floreali.
I frutti possono essere di forme e dimensioni diverse con la buccia di colore giallo, verde o bruno.
La polpa è fresca e aromatica nelle varietà estive, mentre è soda e croccante nelle varietà autunnali e invernali.
Le nostre nonne usavano consumare le pere anche sott’aceto o a marmellata.
Platano (Platanus acerifolia)
Il platano è una pianta molto longeva e a rapido accrescimento.
Si trova in alcune zone di Faeto.
L’albero è di grandi dimensioni. La corteccia del tronco, di colore verde-grigio, ha la tendenza a distaccarsi.
Le foglie, molto ampie di colore verde chiaro, virano al giallo oro in autunno. Caratteristiche sono le infruttescenze tonde, a forma di riccio.
Ama la luce e le posizioni lungamente soleggiate ma tollera anche consistenti sbalzi di temperatura nei riguardi dei geli invernali e dei caldi estivi.
Fico (Ficus carica)
Il fico cresce e fruttifica bene in tutto il nostro territorio (come in zona Castagna), pur preferendo climi più caldi e assolati.
La pianta è molto longeva, il tronco è corto e ramoso, la corteccia è finemente rugosa e di colore grigio-cenerino; le foglie sono grandi, oblunghe, grossolanamente lobate a 3-5 lobi, di colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare sulla parte inferiore.
La linfa del fico è di un bianco latte: i nostri antenati conoscevano le sue proprietà curative per eliminare le verruche.
I veri frutti, che si sviluppano all’interno dell’infiorescenza, sono numerosissimi piccoli acheni. La polpa è succulenta e dolce: all’interno il fico ha una polpa rosso-viola o bianca.
Nel nostro territorio le varietà di fichi a frutto commestibili possono essere suddivise in due gruppi, a seconda del tipo di frutto (a frutto bianco, cioè buccia verde-gialla) e a frutto scuro (buccia scuro-violacea), oppure a seconda del tipo di fruttificazione: i fichi che fruttificano nei mesi estivi si chiamano fioroni (prima raccolta, inizio luglio) e portano frutti più grandi, dolcissimi, mangiati anche dagli uccelli, quelli a maturazione autunnale, meno dolci, si chiamano forniti (seconda raccolta, fine settembre inizio ottobre)
L’essiccazione dei fichi era il metodo più semplice e diffuso di conservazione: come per le sorbe anche con i fichi venivano composte dei serti conservati per l’inverno.
Salice da vimini (Salix viminalis)
Il salice da vimini è un bell’albero di media grandezza e cresce lungo le rive dei fiumi e in campi lungo corsi d’acqua. Ha una resistenza al gelo con radici fitte ed estese e una corteccia con profonde fessure.
Le foglie presentano una leggera peluria. Fiorisce in aprile-maggio.
Veniva potato per aumentare la produzione dei rami.
Il salice da vimini era impiegato dai nostri nonni come pianta da vimini per i suoi giovani getti molto lunghi, diritti, resistenti e flessibili che erano impiegati per la costruzione di cestini, panieri ecc…
Il salice da vimini veniva impiegato anche per consolidamento di pendii e per legare le viti che si trovavano sotto il Feudo e in zona Castagna.
Corniolo (Cornus mas)
Il corniolo è un piccolo albero con bei fiori gialli che sbocciano all’inizio dell’anno aprendosi ad ombrello, prima della comparsa delle foglie.
Le foglie sono ovali e ricoperte parzialmente da peluria.
I frutti, sia di un bel colore rosso corallo che anche gialli, assomigliano a piccole ciliegie oblunghe e sono commestibili.
I rami sono di colore rosso-bruno con rametti brevi, la corteccia è screpolata.
Nei boschi delle nostre montagne, con terreni umidi ed ombrosi, il corniolo trova il suo habitat.
Il legno del corniolo è di colore bruno-chiaro nelle parti interne mentre nella corteccia è rossastro.
Questo legno è durissimo e molto resistente: veniva sfruttato come legna da ardere e anche per la creazione di attrezzi vari.
Prugno (Peunus domestica)
Il prugno è molto diffuso nelle nostre zone e cresce anche in maniera spontanea.
Le varietà più diffuse nel luogo sono la Regina Claudia e quella del Carmine, insieme ad altre varietà.
La fioritura è primaverile ed è generalmente abbondante.
Il frutto dell’albero, la prugna, può essere di forma ovale o rotonda; inizialmente di colore verde quando è acerba, gialla o viola quando è matura.
La maturazione avviene tra giugno e luglio e con le prugne mature si possono preparare marmellate.
I ragazzi solevano raccogliere direttamente dall’albero le prugne acerbe, dal sapore più acre.
I funghi
Sulle nostre montagne e nei boschi nel periodo autunnale crescono spontaneamente varie specie di funghi.
Il nostro tipo di terreno, unito alle abbondanti piogge autunnali, è l’habitat ideale per funghi come la cocomella, manine gialle, prataiolo, chiodino, piopparello, loffia di lupo, tartufo.
Il tartufo è un fungo che cresce sottoterra, quando matura sprigiona un intenso profumo che varia a seconda della specie.
Quella che si trova nelle nostre zone è la variante di tartufo chiamata Scorzone, con la scorza ruvida e verrucosa.
Le specie arboree a cui si associa lo sviluppo del tartufo scorzone sono la roverella, la quercia, il cerro, il carpino e il nocciolo; il periodo di raccolta inizia a maggio, proseguendo fino all’autunno inoltrato.
Anche se è meno pregiato rispetto al tartufo bianco e al tartufo nero, lo scorzone è un tartufo vastamente apprezzato.
Tra i funghi commestibili più comuni sono senza dubbio i cardarelli, una vera leccornia da mettere in tavola per la preparazione di diversi piatti.
Cardarello (Pleurotus eryngii)
Il fungo più conosciuto ed apprezzato dal faetano è il fungo cardarello.
Il cardarello nasce in luoghi erbosi incolti, sui resti e sulle radici di ombrellifere o accanto alle piante di cardo, da cui il nome volgare “cardarello”.
Fungo prelibato, è un ottimo commestibile dal gusto intenso; purtroppo sulle nostre montagne la sua presenza è alquanto diradata a causa della meccanizzazione per la coltivazione di terreni: i luoghi dove è più diffuso sono Monte Cornacchia e zona San Vito.
La sua stagione va dalla primavera all’autunno: in genere si va a cardarelli subito dopo una pioggia perché sono facilitati nella crescita.
Il colore del cardarello nostrano è grigio-bruno.
Il gambo è robusto, pieno, liscio, biancastro, la carne è soda, di colore bianco.
I nostri antenati consumavano i cardarelli in padella con peperoni e patate, al sugo per condire polenta o spaghetti, nell’arrosto di carne, patate e cipolline.
Loffia di lupo (Lycoperdon perlatum)
Questo fungo ha la particolarità che, se schiacciato, fa uscire da un foro che si apre nel mammellone al vertice, la gleba, simile a fumo, dapprima bianca, poi gialla-olivastra, infine pulverulenta.
È un buon commestibile, non molto apprezzato dagli indigeni; cresce in gruppi numerosi, tra le foglie morte nei boschi; la sua stagione è l’estate-autunno.
È formato da una porzione superiore quasi globosa e da una inferiore, piede, simile ad un gambo.
La superficie bianca, giallognola e infine bruna, è coperta da verruche aculeate, asportate con facilità dalla pioggia.
Piopparello (Pleurotus ostreatus)
Il piopparello è un fungo che nasce appunto nei pioppeti, è un ottimo commestibile, cresce a gruppi di solito sui tronchi di pioppo, come pure su rami di altre latifoglie.
La sua stagione va dalla primavera all’autunno.
Il colore del cappello va dal bruno al grigio-cenere tendente all’ocra pallido con il passare del tempo.
Il gambo si presenta laterale, breve, talora appena accennato, assottigliato alla base, ha base vellutata che si unisce insieme alle altre del cespo in un’unica massa, é pieno, tenace e di colore biancastro.
La carne è bianca, morbida nei giovani esemplari, elastica e tenace in quelli a maturità.
L’odore è gradevole e il sapore gustoso.
Questo esemplare è presente anche nella stagione invernale.
Prataiolo maggiore (Agaricus arvensis)
In primavera-autunno il fungo prataiolo cresce nelle radure erbose dei boschi, prati o pascoli su terreno concimato. Ottimo commestibile. La specie è molto diffusa e conosciuta dai faetani.
La carne è soda, di colore bianco.
La superficie e la carne si colorano di giallo al taglio e al tocco.
Ha il duplice anello e l’odore ricorda vagamente l’anice o le mandorle. Ha un sapore grato, dolce.
Il cappello è chiaro con tonalità che variano dal bianco all’ocra, dal bruno al giallastro.
Le lamelle, piuttosto fitte, fragili sono prima rosa e i seguito color marrone.
Chiodino (Armillariella mellea)
Il nome deriva dal latino: armilla “braccialetto” per la forma dell’anello, e melleus “color miele” per il colore del cappello e delle lamelle.
Dapprima la cupola si presenta globosa, poi convessa e infine piana; la pelle è viscida
Questo fungo ha una grande capacità di adattamento perché può vivere sia come parassita di piante legnose, sia legato alle radici di piante verdi, con le quali scambia sostanze nutritive.
Cresce generalmente a gruppi, ma può presentarsi anche come singolo esemplare.
La sua stagione è solitamente l’autunno.
I funghi chiodino che si trovano nel nostro territorio hanno generalmente un colore bruno e il loro luogo di crescita sono il salice, le querce ecc…
Essi risultano piuttosto indigesti.
Cocomella (Lepiota procera)
Questo fungo ha un aspetto slanciato, alto. È un ottimo commestibile, cresce un po’ dappertutto: nei pascoli, nei prati, nei giardini, nei boschi, specialmente su terreni soffici e grassi.
La sua stagione è l’estate-autunno. Il cappello misura di norma 10-25 cm di diametro, ma spesso supera anche i 40.
La pellicola è bruna, liscia, quasi vellutata al centro. Il gambo esile è munito di un grosso anello carnoso, a forma di ciambella, formato da due o tre strati.
La stranezza di questo esemplare sta nel fatto che il gambo è già sviluppato quando il cappello è ancora chiuso così da apparire simile a una mazza di tamburo. La carne bianca è tendente al rosato al taglio; l’odore e il sapore ricordano quelli della nocciola. Del fungo cocomella si consuma soltanto il cappello: i cappelli, ammorbiditi in acqua tiepida, si prestano a essere cucinati come una cotoletta, al sugo e come frittata.
Manine gialle (Claviaria aurea)
Le manine gialle sono commestibili solo da giovani. Crescono nei boschi di latifoglie, nelle zone più ombrose. La sua stagione va dall’estate all’autunno.
Il cespo misura dai 10 ai 14 cm in altezza. Il tronco è corto, carnoso e con colore citrino od ocra. La carne è bianca, soda, senza sapore né odore nei giovanissimi esemplari, poi, forse per effetto della pioggia, diventa acre e macchiata di grigio, a chiazze.
I fiori
Soprattutto quando la natura è tutta verde e rigogliosa i fiori danno un tono allegro e gioioso anche ai balconi, alle terrazze, ai giardini, del nostro paese.
Dovunque infatti spiccano macchie di colore: rose, gerani, garofani, petunie, tulipani, gigli, ortensia, dalie allettano l’occhio e il cuore.
Il tripudio di colori floreali si concentra in massimo modo nelle nostre distese boschive, sui monti e nelle campagne: dal giallo brillante e pieno di vita delle olezzanti ginestre a quello tenue della graziosa primula; dal rosso-turchino della violetta al violetto purpureo del ciclamino dalla penetrante fragranza, dal lilla degli inebrianti lillà al bianco-rosso delle margheritine.
Sono fiori dall’enorme vitalità in quanto sono piante perenni: ogni anno offrono i loro doni senza richiedere fatica, come per magia, sbocciando a profusione.
Primula selvatica (Primula acaulis)
Il nome “primula” deriva dal latino primus “primo” per indicare la precocità di fioritura che avviene subito dopo la scomparsa della neve quando nei prati comincia a nascere l’erba verde. La primula acaulis o vulgaris sopporta abbastanza bene le gelate.
È la notissima primula dei nostri prati e dei nostri boschi ricchi di latifoglie (faggete e querce); la si trova anche lungo i ruscelli: queste zone a mezz’ombra in primavera si riempiono di splendidi e semplici fiori gialli dal profumo delicato che sbocciano in marzo-aprile, larghi 2,5 cm.
La corolla è formata da 5 petali giallo chiaro con una macchia più scura (quasi aranciata) al centro. Questi petali sono anche commestibili.
Ha foglie rugose, a forma di spatola, verde brillante, riunite in rosetta basale e ricoperte da una fitta peluria soprattutto nella pagina inferiore.
Viola mammola (Viola odorata)
La viola mammola è una pianta molto rustica che non richiede protezioni invernali contro il freddo; il suo habitat sono i boschi e i prati in posizione parzialmente ombreggiata o in pieno sole.
La viola mammola cresce fino a 10-15 cm di altezza e 30 cm o più di diametro e si espande mediante stoloni da cui nascono direttamente ciuffi di foglie cuoriformi, cigliate, fornite di lunghi piccioli e di colore verde più o meno scuro.
I fiori sono larghi 1-2 cm, violetti e profumatissimi; la fioritura avviene generalmente in marzo-aprile, ma talvolta già in febbraio.
I fiori sono un ottimo rimedio contro le malattie respiratorie, le radici e le foglie sono lassative.
Nel nostro ambiente vengono raccolte semplicemente per fare graziosi mazzetti con primule e ciclamini da tenere in casa come decoro.
Ciclamino (Cyclamen repandum)
Pianta bassa, erbacea e cespitosa, caratterizzata da bulbo sferico che anche se scoperto, grazie alle sue radici aggrappate al terreno riesce a produrre foglie e fiori nel periodo che va da gennaio a primavera inoltrata.
Prediligendo substrati boscosi umidi in terreni calcarei, ammanta della sua bellezza anche i nostri boschi di faggete, querceti, carpineti, i cespuglieti, i luoghi erbosi. Il suo fiore ha colore e profumo inconfondibile.
Questo tipo di ciclamino ha un’ottima tolleranza al freddo. Il fusto è diviso in due parti: una parte interrata consiste in un tubero più o meno sferico; la parte aerea è uno scapo fiorale semplice e senza foglie. Le foglie sono unicamente basali e sempre indivise. La pagina superiore può essere macchiata variamente di bianco, mentre quella inferiore può presentare delle screziature rosseggianti.
Il disegno variegato della parte superiore serve a mascherare la pianta per ridurre i danni derivati dal pascolo degli animali erbivori.
La corolla ha 5 lobi, lunghi quanto il fiore, e sono ripiegati all’indietro o comunque ritornano in direzione del peduncolo.
I colori della corolla possono essere lilla chiaro, violetto purpureo.
Ginestra (Genesita tinctoria)
La ginestra è un arbusto fiorifero a foglie caduche, può raggiungere i 2-3 m di altezza ed ha portamento eretto, tondeggiante con chioma molto ramificata.
I fusti sono sottili, legnosi, molto flessibili, di colore verde scuro; le foglie sono piccole, lanceolate o lineari, di colore verde, molto distanziate le una dalle altre, cadono all’inizio della fioritura.
Produce numerosissimi fiori di colore giallo oro, delicatamente profumati, su fusti spogli.
Predilige l’esposizione ai diretti raggi del sole, ma si adatta bene a qualsiasi condizione: infatti si possono sviluppare in zone parzialmente ombreggiate, non teme il freddo e si ambienta anche in zone con clima difficile come il nostro.
Le ginestre fioriscono in primavera-estate e regalano uno spettacolo meraviglioso e un inebriamento dei sensi con il loro profumo pregnante.
Nei tempi passati i nostri avi con i fusti di ginestra ricavavano delle scope.
Caprifoglio (Lonicera caprifolium)
Il caprifoglio presente nella nostra flora spontanea è un rampicante sempreverde diffuso nei boschi, con foglie oblunghe, caduche e fiori molto profumati, caratteristici per la loro insolita forma campanulata, di un colore che varia dal bianco al rosso, al giallo.
La fioritura della pianta è massima in primavera.
Il caprifoglio viene raccolto per tradizione per il Corpus Domini per riempire cesti che i bambini lanciano durante tutto il percorso della processione.
Papavero (Papaver rhoeas)
Il papavero cresce spontaneo un po’ovunque, lungo i sentieri di campagna, nei campi coltivati a grano che ci offrono, tra maggio e giugno, un colpo d’occhio straordinario con infiniti esemplari del fiore di un bellissimo rosso scarlatto.
Questi fiori a coppa sono formati da quattro grandi petali con uno stame centrale a forma di stellina con la quale i bambini si divertivano a fare tatuaggi sui polsi e sulla fronte. I petali, raccolti per il Corpus Domini, venivano lanciati durante la processione insieme ad altri fiori colorati.
Anticamente a Faeto si usava preparare un decotto con i semi di un’altra specie di papavero, il papavero da oppio (P. somniferum), insieme alla camomilla per addormentare i neonati, visto che le madri avevano necessità di portarli con loro in campagna.
Poiché questo papavero contiene oppio e sostanze affini con proprietà altamente sedative, non di rado succedeva che i neonati non si svegliassero per più giorni.
Il Papaver somniferum è una specie rustica che cresce fino a un metro di altezza e fiorisce da maggio fino a settembre.
Ha foglie alterne, profondamente lobate, lisce e grigio-verdi.
I fiori, sono larghi fino a 10 cm, sono bianchi, rosa, rossi o porpora, con una sfumatura più scura alla base dei petali, e hanno da quattro a sei petali arrotondati e numerosi stami dello stesso colore.
Altre piante selvatiche
Nel nostro territorio, nel bosco, nei campi incolti, sulle scarpate, lungo i corsi d’acqua, sono presenti numerose altre piante erbacee perenni rustiche, il cui metodo di propagazione è autonomo.
Naturalmente in inverno questi luoghi saranno meno lussureggianti anche se l’agrifoglio, arbusto sempreverde, riesce a non perdere mai la sua funzione decorativa e contribuisce a far apparire l’insieme meno spoglio.
Ebbio (Sambucus ebulus)
L’ebbio è una pianta erbacea cespugliosa non alta e dal caratteristico odore piuttosto sgradevole.
Le foglie dell’ebbio sono picciolate, formate da 5 o 9 foglioline di colore verde scuro, con sfumature più chiare nella pagina inferiore.
Ha numerosi fiori raccolti in corimbi solitari.
I singoli fiori sono bianchi o rosati; il frutto è una drupa globosa rossastra, nera e lucida a maturità.
Le parti verdi della pianta sono velenose e la drupa, molto purgativa, non deve essere consumata.
Nei tempi passati, i nostri antenati, ottenevano l’inchiostro dal frutto dell’ebbio.
Attaccamano (Galium aparine)
L’attaccamano ha il fusto quadrangolare, foglie lineari ed oblunghe disposte in verticilli. I fiori, minuscoli, hanno la corolla bianca formata da quattro petali e sono riuniti a mazzetti. Il frutto grande come un chicco di riso è anch’esso coperto di spine uncinate che, rimanendo attaccate agli animali, favoriscono la propagazione della pianta.
Cresce lungo i bordi stradali e soprattutto nei campi incolti.
Bacca rossa della brionia dioica (Bryonia dioica)
La Vite Bianca (bryonia dioica) è una pianta erbacea perenne che vegeta in ambienti ruderali, boschi a mezz’ombra, siepi.
La pianta è verde con radice grossa, carnosa, amara, ramificata e fusto gracile, rampicante 2-4 m, ramoso, ispido, con peli corti radi.
Le foglie sono picciolate e palmate, i fiori dioici sono riuniti in piccoli raceni.
La corolla dei fiori è gialliccia e la forma dei fiori è campanulata.
Il frutto è molto piccolo, a bacca rossa a maturazione.
Tutta la pianta è velenosa.
Sferracavallo (Botrychium lunaria)
Lo sferracavallo è una pianta erbacea comune perenne dall’aspetto cespuglioso con foglie lungamente picciolate. I fiori sono riuniti in ombrelle con numero di elementi variabile tra 4 e 8, il colore giallo intenso.
Il frutto è un legume a forma di ferro di cavallo il quale dà nome alla pianta.
Nelle nostre zone è presente ai margini dei sentieri e nei pascoli.
Asparagina (Asparagus acutifolius)
È una pianta molto rustica che resiste al nostro clima freddo e si trova spontanea nei boschi di quercia, nei pascoli incolti.
Essendo queste zone fredde qui il riposo vegetativo si svolge in inverno.
Gli asparagi selvatici sono di aspetto sottile e di colore verde, di questi asparagi si raccolgono i giovani turioni che crescono in primavera e con cui si possono preparare primi piatti e frittata.
I nomi comuni di asparago spinoso e asparago pungente derivano dalle caratteristiche spine poste alla base dell’apparato foliare.
Agrifoglio (Ilex aquifolium)
Il normale agrifoglio natalizio dalle lucide foglie pungenti, i fiori bianchi o verdi che sbocciano a primavera inoltrata e le colorate drupe, lo troviamo spontaneo in zona Lago Montagna, Santa Maria, Rangone.
Gradisce posizioni ombreggiate o di sottobosco. Ha chioma piramidale, corteccia liscia, grigia e rami verdastri.
I frutti sono molto decorativi contrastando con il colore delle foglie.
Per tradizione, tra i preparativi delle feste natalizie, c’è l’abitudine di andare a raccogliere rametti di agrifoglio per decorare la propria casa.
Pungitopo (Ruscus aculeatus)
Il pungitopo è una pianta sempreverde, caratterizzata da numerose spine e forma dei cespugli molto intricati.
I fusti della pianta (turioni) assumono un portamento eretto e rigido, alti anche 1 m, di colore verde molto scuro.
Quelle che normalmente confondiamo con le foglie in realtà sono dei fusti secondari che si formano dal fusto principale; le vere foglie non sono visibili nella parte aerea della pianta in quanto sono delle piccole squame che avvolgono la parte sotterranea del fusto e sono di colore rossastro-bianco nella pagina inferiore.
Il pungitopo, come l’agrifoglio, si trova nel nostro sottobosco (Rangone, Lago Montagna, Santa Maria ecc…) e serve oggi solo come decorazione natalizia; un tempo serviva anche per pulire i camini, per togliere le ragnatele dal soffitto e come deterrente per i gatti.